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3+1 ragioni per cui fare Rebranding è necessario

Se sei un'azienda o un professionista sai bene che il mercato è in perenne trasformazione: clienti, prodotti, competitor e brand sono in continuo cambiamento. Ma quali sono le vere ragioni per cui fare Rebranding?
3+1 ragioni per cui fare Rebranding è necessario

📌 Tabella dei Contenuti

Definizione di Rebranding

Per “rebranding” si intende il cambiamento strategico dell’identità del brand in modo da ri-posizionare lo stesso sul mercato in modo più profittevole, aumentandone così il valore percepito dal suo target di riferimento.

Poiché si interviene sull’identità di brand, ne consegue che possono essere interessati tutti gli elementi che concorrono a definirne l’identità stessa: sia quelli fisici, tra cui annoveriamo ad esempio il logo e il nome, che quelli psicologici come tono di voce e valori aziendali.

Nel caso in cui nel processo vengano coinvolti tutti gli elementi, il rebranding si potrà considerare totale.
In caso contrario si tratterà di un rebranding parziale.

Quando scegliere l’una o l’altra strada?

La risposta è: “Dipende!”
Dipende principalmente dalle motivazioni che portano al processo, unitamente ad uno studio dettagliato della situazione di partenza, delle criticità rilevate, del target che si vuole raggiungere e dagli obiettivi prefissati.

Che si possa trattare di un rebranding parziale o totale, la decisione arriva quasi sempre a causa di una riduzione delle performance del brand sul mercato, unitamente ad una diminuzione dei guadagni o alla volontà di ampliare il mercato.

Quando fare Rebranding? 4 situazioni per cui diventa doveroso

In genere, possiamo dire che fare rebranding è fortemente consigliato quando ci si trova in una di queste situazioni:

1. I prodotti o servizi proposti risolvono un’esigenza oggettiva di mercato, ma non vengono percepiti correttamente dallo stesso e, di conseguenza, si vende meno di quello che si potrebbe (e a prezzo inferiore).


2. I prodotti o servizi proposti non rispondono (o non rispondono più) ad un bisogno specifico: ricordiamoci che il presupposto principale per vendere è soddisfare un’esigenza di una nicchia di persone. Anche nel momento in cui ci riusciamo, però, dobbiamo tenere sempre presente che i mercati sono soggetti a cambiamenti interni a causa della nascita di nuove abitudini, esigenze o competitor. Quella dell’analisi dei competitor, per esempio, è una bella maniera per misurare il polso della situazione del mercato.


3. C’è un danno reputazionale che modifica la percezione del brand nell’immaginario collettivo, associandolo a valori negativi e generando, così, costanti (e probabilmente crescenti) perdite economiche.


4. Si vuole raggiungere un target diverso di clienti o entrare in nuovi mercati. In questo caso tutta la strategia deve adeguarsi ai nuovi obiettivi e il riposizionamento diventa molto più efficace se effettuato con un rebranding che costruisca una nuova identità modellata sulle esigenze specifiche dei nuovi clienti di riferimento.

Esempi di Rebranding riusciti alla grande

Di seguito ti porto alcuni esempi di aziende che negli anni hanno saputo fare un rebranding efficace.

LIDL

Rebranding voluto per differenziarsi dal diretto competitor “Eurospin”, con il quale condivideva lo stesso target: ossia acquirenti con un budget limitato.

L’operazione ha mirato ad eliminare pian piano l’associazione Lidl = discount per spostarsi verso Lidl = qualità e valori.

Emblematico il passaggio di payoff da “Ogni giorno è speso bene” a “Lidl è per te”, intercettando in questo modo anche consumatori con reddito medio, oltre a tutte quelle persone che preferivano evitare lo store per non pagare lo scotto della sanzione sociale del fare acquisti in market per persone con potere d’acquisto limitato.

Anche il cambio di logo, in cui è stato incluso il tricolore italiano, è stato funzionale a rimarcare il legame con la qualità italiana.

McDONALD’S

Esempio emblematico (e magistrale) di rebranding a causa di un grosso danno reputazionale scatenato dal documentario SuperSize Me, che gli associò inesorabilmente il concetto di “Junk Food”.

Va sottolineato come la crisi si andava ad aggiungere ad una percezione pre-esistente di “luogo sporco” di cui godevano in realtà un po’ tutti i fast food. McDonald’s agì con un’operazione consistente che prevedeva:

  • rinnovamento dell’offerta alimentare, introducendo cibi sani;

  • introduzione delle tabelle nutrizionali in belle vista, anche nei mercati in ci non erano obbligatorie;

  • rinnovo degli arredamenti, delle divise e dei colori in generale;

  • cambio logo (che fu solo la punta dell’iceberg quindi!)

  • spostamento del focus da “velocità” (associato ai fast food (quindi sporchi) a “benessere”, in perfetta linea con i nuovi colori, prodotti e filosofia.

AMERICAN UNCLE – Lo store online delle golosità americane, in Italia.

Un bellissimo caso studio di Rebrain.

L’attività nasceva con un semplice logo e un posizionamento blando.
Nel processo di rebranding è stata potenziato il posizionamento e costruita l’intera Brand Identity, sia negli aspetti fisici (ad esempio il logo) che psicologici (tono di voce e comportamento), andando a creare un brand dalla spiccata personalità (lo zio d’America) e dalla comunicazione ironica e a tratti cinica.

PFIZER

Se qualcuno ci avesse chiesto a cosa associare Pfizer, fino al 2019, avremmo risposto in coro: “Pillola Blu”!

L’azienda in quel periodo stava già lavorando ad un rebranding, sulla scia del COVID-19, alla fine si preferì mutare la percezione da “Azienda della pillola blu” a “Azienda impegnata nella ricerca”, tanto che nel logo appare la doppia elica e il nuovo claim è: “Science will win”.

HUGO BOSS

Un rebranding a 360 gradi, che include sia gli aspetti meramente visivi (e quindi fisici) come la rivisitazione dei due loghi e delle etichette di brand, che psicologici, andando a creare un’identità più fresca.

L’obiettivo sembra essere quello di includere fasce più giovani, in particolare i Millenials con la linea BOSS e la La generazione Z con la linea HUGO, che ha prezzi più accessibili.

GRUPPO TELECOM

La storia del gruppo Telecom è molto complessa, tanto che, fino al 2014, si trovava ad avere un’architettura di marca frammentata, in cui TIM era l’acronimo di Telecom Italia Mobile.

L’intricata rete di sotto-brand era diventata un problema importante, poiché non solo generava confusione negli utenti finali, ma creava anche difficoltà organizzative e di comunicazione all’interno dell’azienda stessa.

Il rebranding è durato circa 2 anni, e si è concluso con l’introduzione del nuovo nome “TIM”, che è diventato BRAND e non più ACRONIMO, e la precisa definizione dello spazio entro cui opera il brand stesso: la dimensione OnLIfe, spinta dal claim “Connessi alla vita, sempre, ovunque”.

TAVERNELLO

Operazione di rebranding effettuata nel 2017 per cercare di eliminare la percezione di Tavernello come vino in brik economico.
Gli elementi su cui si è agito sono stati:

  • il logo, che è stato concepito con un’immagine circolare più fresca;

  • un lettering più elegante e pulito;

  • Il payoff “buono, sincero, italiano”;

  • l’introduzione di linee in bottiglia di vetro ad affiancare il tetrapack.

Conclusioni

Il mercato cambia e anche i Brand devono seguire un’evoluzione.
Questo mutamento si chiama Rebranding.

Ovviamente, è fondamentale affidarsi ad un professionista che – per l’operazione di rebranding – non si limiti a disegnare un nuovo logo con nuovi colori, ma sappia cogliere a pieno la filosofia aziendale e i percorsi decisionali che hanno condotto alla rivitalizzazione del marchio.

Solamente così, l’utente percepirà come positivo il cambiamento attuato e verrà conquistato (o rimarrà fedele al brand).

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