Produttività: come lavorare meglio grazie al “Terzo posto”

Anche quando si hanno problemi di produttività personale e lavorativa ci sono delle scappatoie. Quali? Leggi l’articolo e scoprile con noi!

Produttività: credo che ormai la maggior parte delle persone sia d’accordo nel ritenere che essere produttivi NON si leghi a un discorso di mera quantità delle cose fatte, ma a temi di qualità e di consapevolezza nel modo in cui si svolge una determinata attività.

In altri termini, parliamo anche di intenzionalità che si verifica quando c’è una buona corrispondenza tra le cose che pensiamo di dover fare e quello che riusciamo a realizzare in concreto entro la fine della giornata.

Se ti chiedessi almeno tre regole per migliorare la produttività, le sapresti a memoria. Con la teoria di solito ce la caviamo, è la pratica che ci frega e oggi vediamo di andare a fondo per comprendere una delle cause che ci allontanano dall’essere intenzionali.

Quando arriviamo alla sera con delle sensazioni di stanchezza assurda e di sconforto perché non sappiamo dove sia finito il nostro tempo, dobbiamo fare un lavoro di revisione interna ed esterna per capire cosa migliorare.

I momenti di revisione sono sempre necessari, ma direi fondamentali quando le sensazioni negative appena descritte rappresentano la regole e non l’eccezione.

Perché ci sono giornate in cui riusciamo a fare di tutto, ma non a portare a termine ciò che dovremmo finire?
Perché riusciamo a stento a completare certe attività, lavorando male e sempre in affanno, con quella brutta sensazione di non ricordarsi nemmeno che cosa abbiamo fatto durante il giorno?

Posso dirti che tra le cause non metto gli imprevisti che ci arrivano perché, nella maggior parte dei casi, non è sempre la vita a rovinarci i piani, ma si tratta della normale quotidianità.

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Produttività: perché non finiamo quello che iniziamo

Se fai parte della categoria di persone che inizia tanti progetti per poi abbandonarli o portarli a termine con molta fatica, può esserti utile il ragionamento fatto dallo scrittore Michael Lopp.

Lopp, anche lui vittima dell’iniziare senza finire, ha provato ad analizzare la sua situazione che riguarda la scrittura, chiedendosi perché alcuni testi non arrivassero mai alla conclusione. Il grafico che trovi qui di seguito rappresenta il suo flusso di lavoro e penso che, indipendentemente dal settore, sia molto utile da analizzare.

L’asse orizzontale corrisponde al tempo necessario per completare un compito, mentre l’asse verticale rappresenta la gioia, la motivazione e la voglia di realizzare quel compito.

Quando iniziamo un lavoro, il tempo richiesto è minimo e la gioia è altissima (il primo blocco del grafico). Carica ed energia sono con noi e ci supportano.

In seguito, passiamo allo sviluppo più concreto del lavoro e, nell’esempio di Lopp, significa scrivere la parte principale di quella che era l’idea di partenza. In questa fase il tempo necessario è ancora ridotto e il livello di gioia inizia a scendere.

A questo punto la parte di lavoro che porta più soddisfazione (scrivere per lo scrittore, programmare per il programmatore, registrare per il videomaker e così via) sembrerebbe terminata, ma….

Guardando le proporzioni tra le varie fasi, emerge la differenza tra il tempo dedicato alle parti che si credono più importanti (i primi due blocchi) e il tempo richiesto per arrivare davvero alla conclusione del compito (gli altri due blocchi).

Questo perché, dopo il cuore del lavoro, troviamo la terza e la quarta fase piene di rifiniture, correzioni, modifiche, dettagli, ricerche, aggiunte, collaborazioni.

In sostanza siamo in questa situazione:

«Quando pensi di aver finito la parte più importante, non sei nemmeno al 50%.»

Ed è qui il problema: il tempo necessario per arrivare alla conclusione è ancora molto, ma gioia ed energia sono a terra. Molliamo quando lo sforzo sembra insostenibile perché ci troviamo nelle fasi di lavoro più duro con il carburante interno ridotto al minimo.

L’idea iniziale non brilla più, si fa fatica, e queste sensazioni scatenano dubbi o domande. Condizioni che portano ad abbandonare quello che abbiamo iniziato.

Che cosa possiamo fare per lavorare meglio?

Disattivare le notifiche, seguire stili di vita sani, fare una cosa alla volta… no no. Oggi nessuna regola d’oro. Ne abbiamo parlato abbondantemente nel video che ti ho condiviso sopra, addirittura fornendoti 16 app che ti aiutano a lavorare meglio ed essere più produttivo.

Quando cerchi una soluzione per lavorare meglio, pensa al terzo posto.

Tra gli ingredienti principali necessari per migliorare la produttività, ecco che emerge l’energia interna.
Quando il livello di energia è basso e vogliamo migliorarlo, ci viene in aiuto il concetto di “third place” del sociologo americano Ray Oldenburg.

In poche parole, si intende un posto da frequentare che non sia la casa e il luogo abituale di lavoro. Si tratta di librerie, bar, biblioteche, parchi, piazze… luoghi importanti per il benessere della società.

Te ne parlo perché, con la pandemia, la maggior parte delle persone ha dovuto ridurre i contesti e, nei momenti peggiori, il contesto era solo quello domestico. Questa mancanza di diversificazione ha amplificato il malessere generale, con la conseguente perdita di concentrazione.

Se mancano concentrazione e attenzione, come possiamo lavorare meglio e perseguire l’intenzionalità che abbiamo citato all’inizio?

Per la nostra mente, per l’energia e per l’attenzione, è vitale tornare a diversificare gli ambienti e ritrovare quello che per noi era ed è il terzo posto.

Potremmo parlare per ore su quanto il contesto sia importante per il nostro benessere personale e professionale, ma voglio mettere in evidenza il concetto di diversificare.

È qui la chiave che aiuta ad alimentare la nostra energia, senza finire nel buco nero delle nostre giornate indirizzate solo a spuntare una lista di cose da fare pensando di essere produttivi.

Quando ti senti in un frullatore o colto dalla sindrome di burnout, pensa al terzo posto.

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