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Privacy aziendale: perché un sito senza HTTPS, viola il GDPR e ti può costare 15.000 €

Privacy aziendale GDPR

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Il GDPR, si sa, è un argomento che può generare ansia e confusione, specialmente per chi lavora nel mondo digitale. Agenzie e freelancer, in particolare, si trovano spesso in una posizione scomoda: sono i primi a consigliare ai propri clienti l’adozione di un approccio alla privacy, ma sono anche quelli che rischiano di sottovalutare gli adempimenti “nascosti”. La realtà, come vedremo, è che un sito web non è solo una vetrina, ma un vero e proprio documento legale, e le sanzioni non colpiscono le mere formalità, ma le vere e proprie violazioni di governance e di sicurezza.

Questo articolo è pensato per tutti i professionisti del web che vogliono tutelare sé stessi e i propri clienti, andando oltre il superficiale e spesso ingannevole “mettersi a posto” con un semplice banner e una privacy policy.

L’iceberg del GDPR: perché un sito web non basta

Quando si parla di GDPR, l’errore più comune è concentrarsi sulla punta dell’iceberg: la Privacy Policy e il Cookie Banner. Molti servizi di “compliance” vendono l’illusione che basti pubblicare questi due documenti per essere a posto, spesso usando il terrore di multe milionarie come leva di marketing.

La verità è ben diversa. Il GDPR è un complesso sistema di regole che richiede una gestione completa dei dati personali, a partire dalla loro raccolta fino alla loro cancellazione. Le agenzie e i freelancer che si limitano a installare un banner, senza preoccuparsi del quadro generale, stanno esponendo se stessi e i loro clienti a rischi enormi. Non è un caso se le sanzioni reali colpiscono per trattamenti illeciti, mancanze di governance e vulnerabilità del sito, non per la forma del banner.

Un professionista del digitale deve agire come un vero e proprio consulente, manlevandosi dalle proprie responsabilità e tutelando il cliente. Non è sufficiente pubblicare un testo legale, bisogna garantire che l’intero processo di gestione dei dati sia conforme alla legge. Questo significa che oggi più che mai, nel team di un’agenzia, non possono mancare figure e strumenti legali che garantiscano la conformità.

Casi reali: le sanzioni che non ti mostrano

Per capire davvero dove si annidano i pericoli, è utile guardare alle sanzioni reali inflitte dal Garante italiano. Dimentica le fantomatiche multe “milionarie” per la mancanza di un bottone, e osserva i casi concreti, spesso a carico di piccole e medie imprese, visibili nell’archivio europeo dell’enforcement tracker.

Ecco alcuni esempi di sanzioni in Italia che dimostrano come le infrazioni non siano mai per mere formalità:

  • 20.000 €: Email aziendali degli ex dipendenti conservate senza limiti. Una società è stata multata per aver conservato e consultato le caselle email di ex dipendenti senza un limite di tempo, in violazione dei principi di minimizzazione e limitazione della conservazione. La sanzione è stata accompagnata dall’obbligo di cancellazione dei dati e pubblicazione dell’ordinanza.
  • 10.000 €: Accesso ai dati personali negato. Un’azienda è stata sanzionata per aver ritardato per oltre un anno l’accesso ai dati personali richiesto da un ex dipendente. La resistenza, motivata da generiche preoccupazioni sul know-how aziendale, è stata considerata illecita dal Garante.
  • 30.000 €: Sito vulnerabile e email promozionali senza consenso. Una società è stata multata perché il suo sito web obsoleto presentava vulnerabilità che esponevano i dati degli utenti a rischi. In più, inviava email promozionali senza il dovuto consenso, dimostrando una grave mancanza di misure di sicurezza e di governance.
  • 10.000 €: Foto post-operatorie pubblicate senza consenso. Un medico estetico ha diffuso su Instagram foto di una paziente riconoscibile prima e dopo un intervento, senza aver ottenuto il consenso esplicito per la pubblicazione. La sanzione è arrivata per violazione dei principi di liceità e riservatezza dei dati sanitari.
  • 120.000 €: Consensi ambigui e conservazione dei dati eccessiva. Un’azienda nel settore assicurativo online è stata sanzionata per aver utilizzato caselle di consenso già selezionate, informative poco chiare e per aver conservato i dati degli utenti per un periodo eccessivamente lungo, in alcuni casi anche per oltre un decennio.

Come puoi vedere, le sanzioni non riguardano quasi mai il banale “mancato consenso dei cookie”, ma i trattamenti irresponsabili e la gestione superficiale dei dati. Le violazioni più gravi derivano da una totale assenza di un approccio strutturato e responsabile.

Vuoi sapere come fare per evitare multe come quelle di cui ti ho parlato sopra? Guarda il video qui in basso. 

Gli obblighi “nascosti” che nessuno ti dice

Oltre agli adempimenti più noti, esistono una serie di obblighi che le aziende spesso ignorano, perché i principali fornitori di servizi “facili” per la privacy non ne parlano. Questi includono:

  • Direttiva Omnibus: che richiede la massima trasparenza su sconti, recensioni e ranking per i siti di e-commerce.
  • Accessibilità digitale: un obbligo che garantisce che i siti web siano fruibili anche da persone con disabilità.
  • Trasparenza sui contributi pubblici: che impone di pubblicare i dati dei contributi ricevuti da enti pubblici.
  • Note legali estese: un obbligo specifico per le società di capitali come le S.r.l. e S.p.A.
  • Dichiarazioni sull’uso dell’IA: un tema sempre più attuale che richiederà informative chiare e specifiche.

Questi obblighi, meno noti ma altrettanto vincolanti, dimostrano che il GDPR per le aziende è solo una parte di un ecosistema legale più vasto e in continua evoluzione. Un approccio che si limita a “generare” documenti statici non può tenere il passo con questi aggiornamenti continui.

Cosa serve davvero per mettersi a norma

Per garantire una vera conformità al GDPR e dormire sonni tranquilli, è necessario un approccio metodico e completo. Non basta un software, né un singolo documento. Serve una strategia che comprenda:

  1. Documentazione completa e aggiornata: non solo Privacy e Cookie Policy, ma anche un Registro dei Trattamenti, le nomine degli incaricati e dei responsabili, e una mappatura chiara dei flussi di dati.
  2. Gestione documentata dei consensi: è fondamentale avere un sistema che registri e conservi la prova del consenso ricevuto, per poterlo dimostrare in caso di controlli.
  3. Analisi dei rischi e misure di sicurezza: ogni azienda deve valutare i rischi specifici legati ai dati che tratta e adottare misure tecniche e organizzative adeguate per proteggerli.
  4. Formazione obbligatoria: il personale che gestisce i dati deve essere formato costantemente sui rischi e sugli obblighi del GDPR. L’errore umano è una delle principali cause di data breach.

In conclusione: un partner per la conformità, non un semplice generatore

Come abbiamo visto, il GDPR non è una scocciatura burocratica, ma un investimento sulla fiducia e sulla sicurezza. Per agenzie e freelancer, proporre un approccio superficiale non è solo rischioso, ma è un disservizio per il cliente.

Oggi, la vera soluzione per la conformità non è un software “magico” che genera due pagine, ma una piattaforma completa che gestisca tutti gli aspetti del GDPR, dalla documentazione alla formazione. Scegliere un partner che offra un supporto costante, che si occupi di aggiornare automaticamente la documentazione in base ai cambiamenti normativi e che permetta di dimostrare la conformità con strumenti specifici, è l’unica strada per dormire sonni sereni.

Non accontentarti di una soluzione che copre solo la superficie. Se un’agenzia o un freelancer vogliono davvero tutelare i propri clienti e non ritrovarsi con il conto salato, devono andare oltre il cookie banner e abbracciare un approccio olistico al GDPR.

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